I circuiti della corteccia prefrontale nella depressione e nei disturbi da stress

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 19 novembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La fisiopatologia dei disturbi da stress e della depressione derivante da attivazione cronica dei sistemi neuronici che mediano le risposte a condizioni che pongono sotto pressione un individuo o lo traumatizzano ripetutamente, si comincia a conoscere in modo sempre più dettagliato. Tuttavia, alcune fra le principali conoscenze degli ultimi due decenni sono consistite in approfondimenti circa le alterazioni morfo-funzionali riguardanti l’ippocampo, i sistemi dell’amigdala e il locus coeruleus nel suo ruolo di innesco del circolo vizioso che autoalimenta la reazione di stress in assenza di evocatori traumatici o per stimoli potenzialmente neutri divenuti in grado di allarmare il soggetto; ma poco si è aggiunto a quanto si sapeva sulle alterazioni funzionali della corteccia del lobo frontale.

L’interesse per la corteccia prefrontale, al di fuori dei ruoli svolti nei processi cognitivi in condizioni fisiologiche, è invece notevole nella moderna psichiatria fondata sulle conoscenze neurobiologiche. Vari disturbi, sindromi e veri e propri quadri psicopatologici di frequente osservazione in clinica psichiatrica, e fra questi la depressione maggiore, sono associati allo squilibrio della neurotrasmissione inibitoria ed eccitatoria nella corteccia prefrontale e nel circuito del cosiddetto sistema limbico, ossia dell’insieme di aree che, con la centralità del complesso amigdaloideo, mediano le principali reazioni emotive e la risposta allo stress. In molti casi, questi disturbi sono precipitati, alimentati o aggravati dalla cronica esposizione ad agenti stressanti (stressors) che, come è noto da tempo, influenzano al livello sinaptico la funzione eccitatoria ed inibitoria dei sistemi di neurotrasmissione.

Ghosal e colleghi della Yale University, grazie ad un’approfondita revisione di tutto quanto pubblicato di recente sull’argomento, fanno il punto delle conoscenze sulle alterazioni cellulari e molecolari dei sistemi neuronici della corteccia prefrontale, fornendo un ricco materiale di sintesi, di dati e nozioni, utile sia per la realizzazione di nuovi studi sia per la didattica.

Lo studio qui recensito sarà pubblicato nella primavera del prossimo anno.

(Ghosal S., et al., Prefrontal Cortex GABAergic Deficits and Circuit Dysfunction in the Pathophysiology and Treatment of Chronic Stress and Depression. Current Opinion in Behavioral Sciences 14: 1-8, April, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Departments of Psychiatry and Neurobiology, Yale University School of Medicine, New Haven (USA).

Sebbene fosse noto dagli anni Ottanta che lo squilibrio cronico nella regolazione dei sistemi nor-adrenergici e del cortisolo abbia come specifici bersagli gli stessi neuroni delle aree cerebrali attive nella risposta allo stress, solo negli ultimi venti anni la ricerca ha dimostrato che questa azione può assumere i caratteri di un vero e proprio effetto tossico, in grado di determinare alterazioni cerebrali che permangono nel corso della vita. Il maggior numero di studi morfo-volumetrici condotti mediante tecniche di neuroimmagine basate sulla risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) si è concentrato su ippocampo, amigdala ed altre strutture del sistema limbico, e in parte sulla corteccia prefrontale mediale[1].

Il maggior interesse della comunità neuroscientifica e medica fu attratto dai risultati ottenuti sull’ippocampo per il loro legame con la patogenesi dei sintomi del disturbo post-traumatico da stress. Come ricorda Perrella, a lungo l’evidenza sperimentale di un danno cerebrale da esposizione ad eventi stressanti è stata accolta “con dubbiosa prudenza da molti psichiatri, perché la dimostrazione riguardava specie animali filogeneticamente lontane dalla nostra e in condizioni artificiali difficilmente comparabili con la realtà umana. Ma in tempi recenti, studi condotti su primati da Robert Sapolsky alla Stanford University, hanno fornito un interessante modello che ha incoraggiato lo studio su pazienti affetti da PTSD”[2]. Gli studi di Sapolsky su Cercopitechi (vervet monkeys) rilevarono ipertrofia delle ghiandole surrenali, ulcere gastriche e danni all’ippocampo[3].

“Allo scopo di verificare se i danni ippocampali fossero dovuti all’azione dei glucocorticoidi, furono applicate pellets di glucocorticoidi all’ippocampo di un solo antimero, in modo da poterne comparare gli effetti con la struttura encefalica controlaterale non trattata. In tal modo si rese evidente che il danno neuronale era limitato alla sede di applicazione dei glucocorticoidi. Studi successivi hanno confermato questi dati, evidenziando una riduzione generale delle diramazioni dei prolungamenti neuronici, con specifici danni alle sinapsi e morte cellulare[4]. Il meccanismo molecolare del danno è stato prevalentemente identificato negli effetti tossici del glutammato[5]. […] Studi sugli aspetti cellulari e molecolari del danno dell’ippocampo che si accompagna a disturbi della memoria hanno evidenziato che lo stress determina una riduzione del legame della serotonina ai recettori 5-HT1A nei neuroni ippocampali, associata ad atrofia nella regione CA3[6][7]. Il danno cerebrale organico da stress, ampiamente documentato nei roditori, non era mai stato dimostrato nell’uomo prima di uno studio ormai classico in questo ambito della ricerca, condotto da ricercatori guidati da Douglas Bremner: “Sottoposero ad accurata indagine morfologica mediante RMN un campione di veterani affetti da PTSD, comparandoli con un gruppo di controllo costituito da persone non affette, ma in tutto equivalenti per caratteristiche. Risultò che gli affetti da patologia psichica da trauma avevano un ippocampo di dimensioni ridotte rispetto ai controlli normali. In particolare l’ippocampo di destra risultava, in media, inferiore dell’8%. Inoltre la gravità del disturbo di memoria era direttamente proporzionale alla perdita di volume ippocampale. Questa ricerca, condotta nel 1995, evidenziò per la prima volta un danno da stress nel cervello umano[8][9].

Rilievi simili sono stati ottenuti indagando la corteccia prefrontale. In particolare nella depressione, Drevets e colleghi hanno identificato un blocco di strutture prefrontali che presentano anomalie morfometriche principalmente caratterizzate da un ridotto volume della materia grigia. Fra queste strutture spiccano la corteccia orbitofrontale e la corteccia posteriore del giro del cingolo. Le alterazioni volumetriche si accompagnano ad anomalie funzionali che persistono anche quando si determina la remissione dei sintomi, spontanea o per effetto di trattamenti psicoterapeutici o farmacologici, ed anche quando si ottiene una normale attivazione causata da condizioni di impegno cognitivo od emotivo[10].

Altri studi hanno confermato l’esistenza di anomalie della corteccia prefrontale orbitomediale e le hanno poste in relazione con particolari sintomi e segni del disturbo depressivo, quali rallentamento psicomotorio, apatia e ansia (Kanner, 2004; Lacerda et al., 2004; Lavtresky et al., 2007; Foland et al., 2008)[11].

Ora, qui di seguito, si propone una sintesi concettuale dei risultati delle principali linee di ricerca valutate nello studio di rassegna di Ghosal e colleghi qui recensito.

L’esposizione a stress, ripetuta e incontrollabile, come è stato numerose volte verificato sperimentalmente, determina cambiamenti persistenti nell’integrità sinaptica e nella funzione dei principali neuroni eccitatori glutammatergici nella corteccia prefrontale. Tali alterazioni si traducono generalmente in atrofia neuronica e perdita di connessioni sinaptiche. In tutti i casi in cui l’entità di questo danno ai neuroni neocorticali è rilevante, si determina una disfunzione del circuito della corteccia prefrontale necessario per l’esecuzione di risposte comportamentali adattative. In altri termini, si compromette un’importante base neurale per un efficiente adattamento alla realtà ambientale circostante.

Un numero considerevole di nuovi studi dimostra che lo stress cronico causa anche estese e rilevanti alterazioni all’interno dei sistemi inibitori degli interneuroni GABAergici, che costituiscono i circuiti di regolazione e controllo dei neuroni eccitatori nella corteccia prefrontale. L’analisi di queste alterazioni e delle conseguenze prestazionali che ne derivano ha portato vari ricercatori ad ipotizzare che i deficit della neurotrasmissione inibitoria contribuiscono alle rilevate modificazioni dell’eccitabilità neuronica nella corteccia frontale e al documentato danno cognitivo da stress cronico.

Ghosal e colleghi propongono poi una rassegna della sperimentazione nei roditori e nella nostra specie dedicata ai meccanismi sottostanti le alterazioni indotte dallo stress della trasmissione GABAergica nella corteccia prefrontale in rapporto alla disfunzione del circuito della corteccia prefrontale che costituisce la fisiopatologia dei disturbi dell’umore (disturbo depressivo, crisi di eccitazione, disturbo bipolare ed equivalenti murini) e dei disturbi da stress e dello spettro dell’ansia (disturbo acuto da stress, disturbo post-traumatico da stress, attacchi di panico, ecc., ed equivalenti murini).

Prendendo le mosse dai dati emersi in questi lavori, Ghosal e colleghi sostengono che le alterazioni dei sistemi interneuronici che regolano gli altri sistemi di neuroni della corteccia prefrontale mediante la segnalazione GABA, svolgano un ruolo causale nello sviluppo della patologia neurobiologica dipendente dallo stress. E, infine, suggeriscono la possibilità di individuare nuovi obiettivi terapeutici legati al GABA per la depressione da stress e i disturbi dello spettro dell’ansia.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-19 novembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr. Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), p. 37, Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005.

[2] G. Perrella, op. cit., pp. 37-38.

[3] G. Perrella, op. cit., p. 38. (Sapolsky e coll. Journal of Neuroscience 10: 2897-2902, 1990).

[4] Magarinos et al., PNAS USA 94: 14002-14008, 1997.

[5] Si vedano le indicazioni bibliografiche della Nota 62 di G. Perrella, op. cit., p. 38.

[6] McEwen et al. Prevention of stress-induced morphological and cognitive consequences. European Neuropsychopharmacology 7 (3): 322-338, 1997.

[7] G. Perrella, op. cit., p. 39.

[8] Bremner et al. MRI based measurement of hippocampal volume in post-traumatic stress disorder. American Journal of Psychiatry 152: 973-981, 1995.

[9] G. Perrella, op. cit., p. 41.

[10] Cfr. Joaquin M. Fuster, Prefrontal Cortex, p. 315, Academic Press, Elsevier, 2008.

[11] Per i rifermenti bibliografici completi delle indicazioni riportate in parentesi, si veda in J. M. Fuster, op. cit.